Biennale Architettura Venezia 2010

La vita, si sa, è fatta di relazioni, di incontri, di scambi. E il luogo «naturale» di queste relazioni è l’architettura. È per questo che Kazuyo Sejima, architetto giapponese, fresca del prestigioso Premio Pritzker ha intitolato la Mostra Internazionale di Architettura di Venezia (29 agosto – 21 novembre) di cui è curatrice, People meet in architecture: ovvero la gente s’incontra nell’architettura. «Oggi è cambiato il modo di comunicare tra le persone  e i giovani più che parlarsi direttamente comunicano con il telefonino e con il computer. Anche l’architettura deve prendere atto di questo cambiamento e, dunque, non può più essere soltanto un oggetto ma deve essere il risultato di più cose: uno strumento che facilita la relazione».

Sejima (che assieme a Ryue Nishizawa anima lo studio Sanaa di Tokyo) nelle sue architetture privilegia appunto le «relazioni» e non solo quelle legate alla funzionalità di un edificio, ma quelle che ne accentuano lo scambio tra interno ed esterno, tra parte opaca e trasparenze, tra luce e ombra. A conferma di questa sua poetica, tra le opere della prossima Mostra veneziana, c’è un’installazione di Junya.Ishigami+Associates dai confini indefinibili, affidata a geometrie totalmente immateriali; c’è una nuvola, una nuvola vera, riprodotta artificialmente dentro una stanza da Transsolar Klimaengineering + Tetsuo Kondo. Alla nostra obiezione di un eccesso di «immaterialità», di evanescenza dell’architettura di fronte alle concretezze dei problemi dell’abitare umano, l’architetto giapponese controbatte: «Alcuni dei progetti che si vedranno a Venezia servono soprattutto per evocare un’atmosfera ma la concretezza e la materialità non mancheranno. Anche se declinati in modi diversi da quelli che ci sembrano più consueti. Lo Studio Mumbai – dice Kazuyo Sejima – gruppo di architetti indiani trasferirà la sua sede nei Giardini della Biennale con un’installazione aperta che indagherà sui rapporti tra architettura, natura e pensiero».

Dopo l’orgia di «effetti speciali» a cui ci hanno abituato precedenti edizioni, quest’anno, almeno sulla carta, si è imboccata una strada diversa. Della bontà di questa scelta dovranno testimoniare i circa 45 partecipanti, studi o singoli, che esporranno all’Arsenale e le 56 partecipazioni nazionali nei padiglioni ai Giardini. Il Padiglione italiano all’Arsenale sarà curato da Luca Molinari che ha scelto come titolo un curioso gioco di parole: Ailati. Riflessi dal futuro, dove Ailati sta per Italia letto alla rovescia, come in uno specchio, ma sta, anche, per Ai lati, a significare uno sguardo laterale in tempi di crisi e caduta di qualsiasi «centro». Molinari vuole «rompere lo specchio e tornare a guardare alla gente» e lo farà allestendo, nei 1.800 metri quadri riservatigli, ben dieci diverse sezioni che, a leggere i titoli, dovrebbero offrire un panorama dell’architettura – concreta e costruita – italiana di quest’ultimo decennio. Con una piccola concessione anche al sogno e alle visioni nella sezione «Italia 2050», in collaborazione con la rivista Wired.

Fonte: Renato Pallavicini

(Qualche foto)

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