
Ho recentemente avuto l’occasione di leggere un interessante articolo su Venezia pubblicato dalla rivista francese Politis ( www.politis.fr/articles/2021/03/venise-doit-reduire-drastiquement-le-nombre-de-ses-visiteurs-42953 ), e il titolo di questo post è la traduzione dal titolo francese, ma sento di dover commentare quanto espresso in quell’articolo in quanto le cose non stanno esattamente così.
Devo confessare che leggendo l’articolo ho versato qualche lacrima, perché purtroppo è quasi tutto vero, ma mi permetto qualche considerazione.
Airbnb non è Il Male, e soprattutto non è l’unico. A Venezia ci sono moltissime agenzie che gestiscono appartamenti per conto dei proprietari affittandoli ai turisti, per cui alla fine il numero di appartamenti non a disposizione dei residente è semplicemente enorme.
In ogni caso non ha molto senso prendersela con i proprietari delle case, in fondo fanno i propri interessi come tutti: è chiaro che se affittando il loro appartamento ad un residente incassano 800€ al mese, mentre se lo affittano ai turisti incassano 3000€ al mese, non c’è da stupirsi (e neanche da colpevolizzarli) se scelgono la seconda opzione.
Semmai il problema è politico e amministrativo: bisognerebbe che ci fosse una legge che garantisca un numero minimo di appartamenti per residenti (obbligatori); un numero tale, ovviamente, che permetta alla città di avere una quantità di cittadini residenti che consenta a Venezia di definirsi appunto “città” e non “dormitorio per turisti”…
Venendo al problema del turismo di massa, ci sarebbe da parlarne per ore, ma diciamo che in essenza si restringe alla necessità di avere un turismo di qualità e non un turismo di quantità.
Uno dei problemi del turismo di massa è che ha un effetto a spirale devastante, nel senso che una volta che una destinazione comincia ad attirare quel tipo di turismo, poi continuerà a farlo sempre di più.
Pensiamo ad esempio all’effetto dei reportage su Venezia. Per carità, da un lato è bene che si parli dei suoi problemi, ma dall’altro lato ottengono un effetto negativo pericoloso: le persone di cultura che leggono i giornali e guardano i documentari, vedono quelle immagini di una Venezia invasa di turisti come cavallette e certo non gli fa venire voglia di andarci (non verrebbe neanche a me … io so che in realtà è solo una piccola parte della città che è invasa, ma chi guarda le foto sui giornali o le immagini in tv, vede solo la parte peggiore, non può sapere che non è tutto così), mentre le persone non di cultura che non leggono i giornali e non guardano i documentari, ma guardano Facebook, vedono sui social quelle foto (ritoccate) dei turisti a Venezia e si dicono “Ehi, anch’io voglio andare lì e fare quella foto così!”, ed ecco che il livello del turista che arriva è sempre più basso …
Come fare quindi per invertire il processo?
Ho sentito davvero tante proposte, le più disparate. Tipo far pagare una quota per entrare in città (come se fosse un museo invece di una città), ma questo significherebbe che solo i benestanti potrebbero permetterselo, e sappiamo bene che non necessariamente “ricco” significa “rispettoso” …
Poi c’è chi dice di mettere un numero massimo giornaliero di persone che possono entrare. Quindi si chiude tutta la città (come se fosse un riserva indiana) e solo un tot di persone al giorno può entrare. Ma anche questa non è ancora una soluzione, dato che non ci sarebbe alcun filtro di tipo qualitativo, ma solo quantitativo (per non parlare della difficoltà di mettere dei controlli a tutti gli accessi alla città).
Forse la proposta più interessante che ho sentito finora è quella di Marco Scurati ( flussiturismo.wordpress.com ) che fa leva su un meccanismo psicologico indiretto. In pratica la questione è: la stragrande maggioranza di chi fa turismo, diciamo “di basso livello”, vuole venire a Venezia semplicemente per andare in Piazza San Marco e farsi un selfie, mentre per chi fa turismo culturale andare in Piazza San Marco è cosa secondaria.
Per cui Scurati dice: “Chiudiamo solo la Piazza, non tutta la città, e mettiamo un numero massimo di persone al giorno che possono entrare in Piazza. Non a pagamento (che sarebbe discriminante) ma semplicemente con prenotazione obbligatoria. Per cui ogni giorno solo x persone possono entrare in Piazza (con prenotazione)”.
Avremmo due vantaggi diretti e uno indiretto.
Quelli diretti sono:
1) è molto più semplice controllare gli ingressi alla Piazza (sono solo 4) che non alla città intera
2) ci sarebbe molta meno gente che arriva in città.
Mentre il vantaggio indiretto (che è quello più interessante) è che limitando l’accesso solo alla Piazza si mette un filtro proprio a quel tipo di turismo di basso livello che non vogliamo, in quanto quel tipo di persone se vedono che non possono entrare in Piazza, sicuramente decideranno di non venire affatto a Venezia. Mentre le persone che fanno turismo culturale, non si faranno certo scoraggiare dal fatto di non poter visitare la Piazza, dato che sono piuttosto interessate a scoprire la Venezia autentica. Tra l’altro sarebbero invogliate a venire perché ci sarebbe meno turismo di massa in giro per la città.
Ma ovviamente, come tutte le proposte intelligenti, non è stata presa in considerazione …
Altro problema: mono-cultura turistica, cioè la città vive di solo turismo. Questo è un altro grave problema, che secondo me non è possibile risolvere. ma si potrebbe quanto meno limitare. Come? Ancora una volta garantendo un numero decente di cittadini residenti. Solo in un contesto con un numero sufficientemente grande di persone (e soprattutto “diversificate”) può nascere una struttura economica che si può auto-alimentare. Ed è solo abbassando i prezzi delle case che si può pensare di tornare ad avere un numero congruo di residenti. E ancora una volta è un problema politico e amministrativo …
Altra questione di cui si parla nell’articolo: “turismo sostenibile”. Clara Zanardi nell’intervista dice che secondo lei non è possibile fare “turismo sostenibile” a Venezia. Io dico di più: non è possibile fare “turismo sostenibile” da nessuna parte! Nel momento stesso in cui metti piede in un ecosistema (che sia naturale, sociale o culturale, poco cambia) lo stai inquinando, è inevitabile.
Quello che si può (e si deve) fare è di cercare di ridurre al minimo l’impatto devastante che inevitabilmente il turismo ha sempre, dovunque.
E a Venezia, in realtà, sarebbe più facile che altrove.
Inoltre la Zanardi dice che la Venezia autentica non esiste più. Ma questo vale dappertutto. Tutti i sistemi si evolvono, anche le tribù amazzoniche, ma questo non vuol dire che se entro in contatto con una tribù che però è diversa da come era un paio di generazioni prima, allora non è più autentica! E’ semplicemente la versione “autentica” di se stessa in quel momento.
Altro tema: le navi da crociera. Premesso che in realtà l’incidenza del numero di persone che arrivano dalle navi di crociera sul totale degli arrivi a Venezia è minimo (per non parlare del fatto che in realtà la maggioranza della gente che arriva con le navi da crociera, neanche scende dalla nave durante il periodo in cui è al porto …), per cui non è quello il problema.
Il problema vero è la fragilità dell’eco-sistema lagunare.
E’ di pochi giorni fa la notizia che tutti hanno salutato con grande gioia e senso di vittoria: le navi da crociere non possono più passare davanti a San Marco e ormeggiare nel porto della città.
In realtà non è cambiato quasi niente, perché comunque entreranno in laguna per andare ad ormeggiare al porto di Marghera …
Non ci siamo ancora.
L’unica vera soluzione è di fermarle prima di entrare in laguna. Realizzare un porto fuori dalle bocche di ingresso in laguna, e poi far arrivare i turisti in città (almeno quelli che lo vorranno) con barche adeguate alla laguna (tra l’altro creando posti di lavoro).
Insomma, in conclusione, certamente Venezia è una città complicata, ma non è impossibile trovare soluzioni per salvaguardarla, solo manca la volontà politica e l’interesse che non sia un interesse puramente economico.